Per un fotografo, parlare di Henri Cartier-Bresson è come parlare di un padre. O, potremmo dire, di un Maestro nel senso più autentico del termine (e con la M rigorosamente maiuscola).
La sua esperienza e il suo esempio ci porteranno fino al cuore, fino all’essenza stessa della fotografia.
Perché, se è vero che i poeti ci offrono nuove parole per descrivere il mondo, il primo passo per imparare a scattare buone fotografie è saper riconoscere coloro che ci hanno insegnato a vedere il mondo da punti di vista inediti e, Henri Cartier-Bresson è senz’altro uno di questi.
Non a caso è stato definito l’Occhio del Secolo: attraverso il mirino della sua Leica sono passate immagini che hanno riflesso l’anima del ‘900 e che sono entrate nel nostro immaginario in maniera indelebile.
In questo articolo conosceremo insieme questo immenso fotografo francese, nato a Chaneloup-en-Brie nell’agosto del 1908 e morto a Céreste nel 2004, all’età di 95 anni.
Leggeremo le sue parole e proveremo a trarne qualche lezione utile ad arricchire il nostro percorso di formazione verso una maggiore consapevolezza fotografica.
La vita di un artista è sempre intrecciata in maniera inscindibile con la sua opera. Per questo uno dei primi consigli che posso darti, se desideri entrare nel meraviglioso mondo della fotografia, è di studiare la vita dei fotografi che ammiri.
Dietro a ogni fotografia c’è un mondo che non è mai soltanto quello che si vede.
In ogni immagine, anche quella apparentemente più banale, c’è un orizzonte ampio di scelte, di desideri, di pensieri, di narrazioni interiori che fanno parte della vita e dell’immaginario di chi l’ha scattata.
Dietro ogni fotografia c’è un universo intero fissato in un istante e Henri Cartier-Bresson ci insegnerà a riconoscerlo.
LEZIONE N.1: COGLI L’ISTANTE (PERFETTO)
Cominciamo da qui: dall’istante e dalla sua inafferrabile perfezione:
Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento, sosteneva Cartier-Bresson.
E cos’è l’eternità se non il sincronismo perfetto che supera il tempo, l’incontro magico di un elemento fugace e apparentemente casuale con la fissità dell’inquadratura che ci fa sussultare?
Quando guardiamo una fotografia di Henri Cartier-Bresson non possiamo fare a meno di stupirci e di chiederci: ma come ha fatto a cogliere proprio quell’istante, quel dettaglio così sorprendente?
L’istante perfetto può essere determinato da un passante che salta una pozzanghera specchiandosi in essa o da un improvviso volo di colombi oppure ancora dal passaggio di un uomo in bicicletta, da un movimento imprevedibile, da uno sguardo fugace.
La folgorazione della bellezza richiede un altrettanto folgorante capacità di coglierla: è questo il primo insegnamento che possiamo trarre Cartier-Bresson.
E folgorante fu anche il suo incontro con la fotografia.
Forse sarà capitato anche a te di vedere una fotografia scattata da un altro fotografo e pensare: voglio farlo anch’io! Ecco, è quello che accadde al giovane Henri Cartier-Bresson di fronte a una fotografia dell’ungherese Martin Munkacsi .
Fu quell’incontro a “dar fuoco alle poveri” e fargli venire voglia di guardare il mondo attraverso l’obiettivo, come lui stesso affermò.
Fino a quel momento, il suo percorso di formazione aveva ruotato attorno all’arte, in particolare alla pittura, a cui lo aveva introdotto suo zio Louis.
Ma bastò quella visione (quell’incontro istantaneo) a determinare il suo destino.
Ogni grande fotografia ha potenzialmente il potere di illuminarci, di spalancarci un mondo di possibilità inimmaginabili.
Ma dietro all’immediatezza apparente, dietro al “momento decisivo” che si compone all’improvviso sotto ai nostri occhi, c’è un lavoro di sottile architettura.
L’istante perfetto è lì fuori che ci attende. Ma cosa ci rende davvero capaci di coglierlo?
Per spiegare come Henri Cartier-Bresson sia stato capace di innovare il linguaggio fotografico in maniera così determinante, non possiamo prescindere dai mezzi tecnici che lo hanno reso possibile.
Fu tra i primi ad utilizzare una macchina fotografica di piccolo formato, la famosa Leica 35 mm, con ottica fissa 50 mm, che lo accompagnò ovunque per tutto il resto della sua vita.
Note: è curioso pensare come noi chiamiamo “Formato Pieno” o “Grande formato” il FullFrame, riconoscendo il “piccolo formato” nell’APS-C o Micro 4/3 mentre un tempo era proprio il FullFrame (35mm) ad essere visto come “piccolo formato”.
“Ho scoperto la Leica; è diventata il prolungamento del mio occhio e non mi lascia più”
Ecco, questa frase probabilmente ti potrà bastare per capire quale tipo di rapporto dovrà instaurarsi con la tua macchina fotografica: deve essere il prolungamento del tuo occhio.
Solo così, scattare sarà semplice e naturale come respirare. Solo così sarà possibile cogliere il momento decisivo, perché non dovrai pensare a come fare: lo farai e basta.
LEZIONE N. 2: SPERIMENTA L’OTTICA FISSA E CERCA LA SEMPLICITÀ
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Spesso, quando si comincia a fotografare si pensa che non si potranno raggiungere alti livelli qualitativi senza l’attrezzatura adatta e, soprattutto, senza disporre di ottiche sofisticate e costose.
Beh, in realtà le condizioni ideali per scattare fotografie memorabili non si raggiungono (quasi) mai e l’attesa di queste ultime potrebbe essere, in realtà, solo una scusa per non agire.
Henri Cartier-Bresson ci insegna anche questo: impara a fare molto con poco. Alleggerisci la tua attrezzatura e esci in strada a fotografare, il mondo ti attende.
Questa scelta aveva almeno due ragioni:
- La prima è che questo tipo di obiettivo è quello che restituisce inquadrature più vicine alla naturale visione umana.
- La seconda è che secondo Bresson il raggiungimento della semplicità espressiva passa attraverso l’abnegazione e l’economia di mezzi.
La semplicità espressiva, in Henri Cartier-Bresson, tende a coincidere con la perfezione: non vi è nulla di eccessivo nelle sue fotografie, non un peso visivo fuori posto o un elemento incoerente all’interno della composizione, eppure è sempre presente un guizzo, qualcosa che va oltre la staticità, che interviene ad animare la scena.
La leggerezza della Leica consentiva, infatti, di scattare più foto, più velocemente. Di registrare la realtà nel suo farsi.
Anche per questo Henri Cartier-Bresson è universalmente riconosciuto come il pioniere del foto-giornalismo.
Ecco, scattare fotografie può essere un gesto semplice ed essenziale:
- uscire per strada con la fotocamera sempre in tasca e pronta a registrare la vita nel suo compiersi incessante
- scegliere un’ottica — una soltanto — che restituisca una visione schietta e naturale, senza artifici, dello spazio che ci circonda
- mettersi al servizio della fotografia con abnegazione di sé (e questo non è da tutti, ma è senz’altro una caratteristica che denota i grandi artisti).
Sono tutti esercizi utili, questi, per arrivare a cogliere il senso più intimo dell’attività di un fotografo.
Come puoi facilmente osservare, al giorno d’oggi, con l’avvento di tecnologie digitali sempre più sofisticate, scattare buone fotografie è diventato molto facile e praticamente alla portata di tutti.
Anche un semplice smartphone riesce a restituire immagini con caratteristiche tecniche impressionati.
Ma è altrettanto evidente che non è la quantità di pixel o la possibilità di aggiungere un filtro più o meno di tendenza a fare la grandezza di una fotografia.
L’aspetto determinate rimane l’occhio del fotografo, o meglio, la capacità di guardare e di vedere qualcosa che valga la pena immortalare (ossia, letteralmente, rendere niente di meno che immortale).
In tempi in cui si fotografa di tutto e di più, il ruolo del fotografo diventa fondamentale per rendere nuovamente visibile la bellezza e questo lo si può fare senza timore anche utilizzando mezzi semplici.
Tra l’altro lo stesso Henri Cartier-Bresson, al suo tempo, era criticato per la scelta della Leica dai fotografi professionisti che continuavano a utilizzare macchine di “medio formato” con soffietto, come per esempio la Linhof.
Ciò deve farti riflettere sul fatto che quando sappiamo qual è il risultato estetico che vogliamo raggiungere, possiamo ottenerlo anche con i mezzi semplici di cui disponiamo.
Fu lo stesso Henri Cartier-Bresson a sostenere che:
“l’apparecchio per noi è uno strumento, non un giocattolino meccanico. È sufficiente trovarsi bene con l’apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare.”
Dunque, sii audace. Fotografa con ciò che hai a disposizione, potresti contribuire a riscrivere le regole del gioco come ha fatto, senza alcun dubbio, il nostro Henri Cartier-Bresson.
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LEZIONE N. 3: LIBERATI DAI CONDIZIONAMENTI E MATURA IL GIUSTO DISTACCO
C’è una costante che ritorna sempre nella vita dei grandi artisti che hanno fatto la storia: la capacità di sublimare la competitività trasformandola in spirito di collaborazione.
Ciò rese possibile a fotografi del calibro d Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour, William Veandivert e George Rodger, di fondare insieme, nel 1947, la mitica agenzia fotografica Magnum.
Fu così che Cartier-Bresson iniziò a girare il mondo per scattare i suoi reportage.
Precedentemente aveva partecipato alla resistenza francese (non dimentichiamo che erano gli anni del secondo conflitto mondiale) ed era stato catturato dalle truppe naziste, riuscendo a scappare al terzo tentativo.
Famosissime sono le sue foto della liberazione di Parigi, nel 1945.
Pensa che nel 1946 il MOMA di New York, ritenendolo morto in guerra, annuncia di voler organizzare una retrospettiva in suo onore.
Naturalmente, venutone a conoscenza, Henri Cartier-Bresson contattò il museo informandoli del fatto che era, invece, vivo e vegeto. La mostra fu inaugurata l’anno successivo, con una selezione di immagini compiuta dallo stesso Henri Cartier-Bresson.
Ma torniamo all’influenza positiva (di negative ce ne sono fin troppe, è inutile sottolinearlo!) che possono avere su di noi gli altri, in particolare i nostri colleghi.
Fu proprio Robert Capa a suggerire al giovane Henri di non subire influenze legate alle correnti artistiche dell’epoca, a non attaccarsi addosso “l’etichetta del fotografo surrealista”, ad essere semplicemente un foto-giornalista.
Questa indicazione fu fondamentale. Impedì al giovane Henri Cartier-Bresson di cedere a condizionamenti che lo avrebbero reso un fotografo di maniera.
Questa è una lezione importantissima: sii te stesso. Fotografa senza pregiudizi e senza condizionamenti. Solo così potrai fare qualcosa di diverso, di originale.
Ma Henri Cartier-Bresson andò addirittura oltre, riuscendo a maturare un distacco vitale anche nei confronti della fotografia stessa:
“Non si devi pensare di vivere per la fotografia — diceva — Bisogna vivere e basta. Poi sarà la vita a darti delle immagini da prendere!”
E, se ci fai caso, è proprio così. Ti è mai capitato di uscire a fotografare senza sapere cosa esattamente volessi fotografare? Immagino di sì.
La fotografia può essere vissuta come un incontro magico tra noi e il mondo, di cui non sappiamo nulla fino al momento in cui avviene.
A meno che tu non sia esclusivamente un fotografo di Still Life, fotografare è aprirsi all’imprevedibilità della vita e alla sua capacità di rivelarsi sotto i nostri occhi.
Dunque, l’esercizio che puoi provare a fare è questo: dimentica tutto quello che sai, prova a smettere di pensare, fai il vuoto nella mente (come se fossi un monaco zen) ed esci a fotografare.
Lasciati stupire dalle cose che ti circondano come se le stessi vedendo per la prima volta. Vivi ogni nuovo giorno e ogni nuova sessione fotografica come se fosse la tua rinascita.
Del resto Cartier-Bresson affermava:
“Si muore tutte le sere, si rinasce tutte le mattina: è cosi. E tra le due cose c’è il mondo dei sogni”
A leggere queste parole, non c’è da stupirsi se Henri Cartier-Bresson sia ritenuto il più grande fotografo del Novecento, un pioniere, l’Occhio del secolo.
Come avrai capito, la capacità di cogliere l’istante perfetto non si raggiunge dall’oggi al domani, ma si matura con la dedizione, con la voglia di sperimentare orizzonti nuovi e con l’abnegazione di cui abbiamo parlato.
Solo così si potrà stabilire l’equilibrio tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo e si arriverà a cogliere il momento decisivo per restituirlo attraverso immagini significative e memorabili.
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APPENDICE. QUALCHE ALTRO SPUNTO PER RIFLETTERE
Naturalmente le tre lezioni precedenti non esauriscono la grandezza di questo autore e l’infinità di stimoli che la sua opera può offrire.
Per questo ti invito ad approfondire e a cercare da solo altri spunti per accrescere la tua motivazione a migliorare sempre di più nel tuo percorso fotografico.
Voglio però darti ancora qualche suggestione tratta dalla mia analisi personale dell’opera di Henri Cartier-Bresson.
Questo grande fotoreporter era anche un sublime ritrattista.
Nell’ultima parte della sua vita ha scattato fotografie a tantissimi artisti e personaggi famosi, tra cui Picasso, Camus, Matisse, Coco Chanel, Marilyn Monroe, Robert Kennedy, Che Guevara e molti altri.
Ebbene, una caratteristica peculiare dei suoi ritratti è la naturalezza: Henri Cartier-Bresson non mette mai in posa i suoi soggetti ma li fotografa cogliendo “l’attimo decisivo” mentre li osserva vivere nel loro ambiente quotidiano.
Da questo importante dettaglio puoi tratte un esercizio efficace anche per sviluppare la tua bravura di ritrattista.
Infine, voglio sottolineare quanto sia importante non esaurire la tua ricerca di ispirazione solo all’interno dell’arte fotografica ma di creare analogie con altri linguaggi.
Henri Cartier-Bresson nasce come pittore e durante la sua carriera ha avuto anche importanti esperienze cinematografiche, prima come collaboratore del regista Jean Renoir, poi realizzando personalmente alcuni film documentari, tra cui “Le Retour”, sul ritorno a casa dei rifugiati di guerra francesi.
La sperimentazione dei linguaggi più vari ci aiuta a rendere più profonda la nostra capacità di osservare e raccontare il mondo. Non dimenticarlo mai.
Bene, a questo punto non ti resta che prendere la macchina fotografica e uscire.
Ti lascio con le parole del Maestro, leggile come un invito a fare altrettanto:
“Andavo in strada tutti i giorni per tutto il giorno, ansioso di attaccare la vita, di catturarla”
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