Reggiti forte, stai per fare uno dei viaggi più emozionanti che la fotografia contemporanea ti possa consentire, di quelli che potrebbero cambiarti la vita. Sebastião Salgado, infatti, non è soltanto un fotografo, è innanzitutto un uomo che ha fatto del suo essere nel mondo l’occasione per indagare il sublime e l’abisso attraverso la fotografia. Senza mezzi termini.
Molti, non a torto, lo considerano come il più grande fotografo contemporaneo vivente.
Ma andiamo per gradi e cerchiamo di avvicinarci lentamente a questa figura unica e straordinaria nella scena fotografica mondiale. Sebastião Salgado nasce nel 1944 a Aimorés, nello Stato brasiliano di Minas Gerais.
La passione per la fotografia lo raggiunge all’improvviso e, possiamo dire, tardi rispetto a quanto siamo abituati a pensare.
Il falso mito della vocazione personale che si manifesta durante l’infanzia come una sorta di chiamata divina è, in questo caso, del tutto inapplicabile.
Aveva studiato con profitto Economia e Statistica ed era molto ben avviato alla carriera nel mondo dell’alta finanza. Ma fu proprio durante un viaggio in Africa, per conto della banca parigina presso la quale era impiegato, che scattò la scintilla fatale.
In Africa, Salgado vide infatti qualcosa che cambiò per sempre la sua vita e che lo portò ad abbandonare ogni certezza materiale, per abbracciare la fotografia.
È sempre un mistero quel che accade nell’animo di un uomo. Nessuno di noi sa perché, nel profondo del cuore, compiamo delle scelte — talvolta improvvise — che determineranno il nostro destino per sempre.
Eppure, guardando le fotografie di Sebastião Salgado, non possiamo che ammettere che il nostro cuore, spesso, ne sa più di noi e vale la pena seguirlo. Ecco, questa è la prima lezione che possiamo trarre da questo grande Maestro della fotografia contemporanea.
LEZIONE N. 1: SEGUI IL TUO CUORE, SPESSO NE SA PIÙ DI TE
Compiere una scelta, decidere all’improvviso quale sarà la nostra vita e a cosa dedicheremo la maggior parte del nostro tempo, non è mai un’impresa facile. Ma sono quasi certo che ciascuno di noi ha ricevuto almeno un segno, un’indicazione, attraverso una sorta di segnaletica stradale interiore che, di fronte a un bivio, ci indicava quale sarebbe stata la direzione migliore per noi.
Il problema è: sei veramente disposto a seguirla?
Sebastião Salgado ha risposto di sì e l’ha seguita anche quando si faceva impervia, faticosa, perfino dolorosa.
Non a caso la sua scelta di diventare fotografo è avvenuta in seguito al viaggio in Africa e dopo aver visto con i suoi occhi la grande sofferenza del popolo africano. Proprio quella sofferenza è stata per anni il soggetto delle sue fotografie: dopo aver visto, voleva che anche il mondo vedesse.
Ma, affinché il mondo potesse vedere veramente, bisognava trovare una forma adatta a contenere tutto il pathos, tutta la commossa emozione, tutto il dramma umano che c’era. Così, dal 1973, Salgado decide di girare il mondo in compagnia della sua macchina fotografica (inizialmente, una Leica 35 mm), per registrare tutte le tracce di disperata umanità che incontrava nel suo cammino.
Lo ha fatto per anni, senza risparmiarsi, realizzando reportage di una intensità sublime che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Ha documentato la vita dei contadini indigeni dell’America Latina, la terribile carestia in Africa negli anni Ottanta, la fine della manodopera industriale per il progetto dal titolo La mano dell’uomo — Archeologia dell’età industriale e l’umanità in movimento, delle grandi migrazioni nello straordinario reportage dal titolo In cammino.
Prima di entrare nei dettagli tecnici, voglio soffermarmi ancora un po’ sul contenuto delle immagini di Salgado.
Talvolta si pensa che una buona fotografia, eseguita con la giusta maestria tecnica, possa persino prescindere dal contenuto, ossia dal soggetto che si sceglie di fotografare. Beh, possiamo affermare senza timore di essere smentiti che non è affatto il caso delle immagini di Sebastião Salgado.
Nelle sue fotografie i soggetti vivono e gridano tutta la loro umanità. Possiamo quasi dire che, nello scattare, Salgado predisponga uno spazio tutto loro in cui essere quello che sono, in cui esprimere disperatamente se stessi e la tragedia umana che incarnano.
Insomma, abbiamo a che fare con una testimonianza di rasa sensibilità, questo è certo. Ma la domanda potrebbe sorgere spontanea: in simili circostanze, così vibranti ed emozionati, come interviene la tecnica, l’occhio freddo e capace di calcolare il giusto tempo di esposizione o l’apertura più corretta del diaframma? È quello che proveremo a scoprire nella prossima lezione.
LEZIONE 2: L’ESTETICA DI SALGADO E LA SCELTA DEL BIANCO E NERO
Come fa un fotografo a rimanere impassibile di fronte a un uomo che soffre e, malgrado tutto, scattare cercando di ottenere una buona fotografia? Dal mio punto di vista, può riuscirci solo a una condizione: che riesca a trascendere il momento inscrivendolo in una visione più ampia, farsi cioè testimonianza.
Eppure nonostante questo, Salgado ha pagato molto caro il prezzo delle sue scelte: dopo un reportage sul genocidio in Ruanda, nel 1994, si è ammalato di una profonda depressione che gli ha fatto perdere qualunque tipo di fiducia nel genere umano, fino a indurlo a pensare di abbandonare per sempre la fotografia.
La sua anima aveva registrato, attraverso la macchina fotografica, troppa sofferenza, troppe ingiustizie e troppa crudeltà per rimanere salda, per non vacillare e dire:
“In Ruanda vidi la brutalità totale. Vidi persone morire a migliaia ogni giorno e persi la fiducia nella nostra specie. Non credevo che fosse più possibile per noi vivere. Fu a quel punto che mi ammalai”
Ciò deve farci riflettere sulla motivazione profonda che c’è alla base delle scelte fotografiche di Salgado, solo così possiamo arrivare a comprendere come e perché scattare fotografie di questo genere possa essere anche un espressione in un certo senso artistica, di elevata qualità formale ed espressiva, e in cui la tecnica gioca un ruolo di primaria importanza. A tal proposito Salgado affermò:
“Il linguaggio fotografico è un linguaggio formale, legato all’estetica. Certamente, se le mie fotografie arrivano ad essere esposte in un museo, vuol dire che hanno anche un valore estetico che le contraddistingue, ma non voglio assolutamente che queste siano lette come delle opere d’arte. Infatti, non nascono per essere oggetto d’arte, ma come un insieme di immagini per informare, per provocare discussioni, dibattiti. Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter”
Ma, nonostante queste parole, non possiamo non soffermarci sulla bellezza delle sue fotografie, ammirare la composizione impeccabile e l’uso di un bianco e nero spettacolare.
La scelta del bianco e nero non è certo casuale. Salgado stesso afferma che quando aveva cominciato a fotografare, le pellicole offrivano la resa di colori molto saturi, con il rischio che “prendessero il sopravvento sui soggetti che volevo mostrate, sulla dignità delle persone, sui sentimenti e sulla storia”.
Come puoi vedere, i grandi fotografi non lasciano mai nulla al caso e, dietro ad ogni scelta stilistica, c’è una motivazione molto profonda. Per Salgado il colore, in relazioni ai soggetti ripresi, è un elemento di disturbo, quasi un abuso e mancanza di rispetto.
Inoltre, Salgado si preoccupa anche di chi riceverà quell’immagine, ossia dello spettatore, sostenendo che una foto in bianco e nero è come un’illustrazione parziale della realtà (mentre in una fotografia a colori c’è già tutto il visibile), che induce colui che l’osserva a ricostruire in parte quella realtà attraverso la sua memoria e la sua immaginazione. E, in più, attraverso questa ricostruzione e lenta assimilazione dell’immagine
“la foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori, che è un prodotto praticamente finito”
QUALE LEZIONE POSSIAMO TRARRE PER IL NOSTRO PERSONALE PERCORSO DI RICERCA?
Innanzitutto, Salgado ci fornisce una motivazione molto sottile per prediligere o meno il bianco e nero.
Talvolta nella vita, come anche nella fotografia, compiamo scelte piuttosto superficiali, ci abbandoniamo alla moda del momento e decidiamo di adottare uno stile senza sapere fino in fondo cosa comunicherà nello spettatore.
Da oggi in poi, ricorda di chiederti sempre prima di scattare: cosa voglio comunicare a coloro che guarderanno le mie fotografie? Quale messaggio voglio che li raggiunga? Perché?
La fotografia è un mezzo potentissimo per veicolare messaggi al mondo, per questo è necessario usarlo con consapevolezza, sopratutto oggi che fotografare, è diventato un gesto praticamente alla portata di tutti.
LEZIONE N. 3: QUANDO FOTOGRAFI LASCIA TEMPO ALLE COSE DI MANIFESTARSI, IMPARA AD ASPETTARE
Se ti sei avvicinato al mondo della fotografia perché ti ritieni un tipo impaziente e hai sempre pensato che fosse tutto sommato facile premere il pulsante e scattare, probabilmente resterai deluso. Già perché Sebastião Salgado afferma che:
”chi non sa aspettare, non può diventare un fotografo”
Del resto, se sei abbastanza avanti nel tuo percorso di fotografo, probabilmente lo avrai già capito da solo. Fotografare è un lavoro che richiede molta dedizione, la capacità di individuare e cogliere i momenti giusti, la disponibilità a familiarizzare con le tecniche e, soprattutto, con l’elemento primario, la materia prima di ogni buono scatto e, cioè, la luce.
Se poi i tuoi soggetti sono soggetti imprevedibili, come per esempio gli animali, allora le cose si complicano abbastanza.
Non puoi mettere in posa un cavallo, un elefante, una giraffa o una foca. E, ovviamente, nemmeno Salgado ci riusciva. Lo racconta bene lui stesso, nel descrivere il suo tentativo di fotografare una tartaruga delle Galapagos, per il suo ultimo grande reportage dal titolo Genesi:
“Mi ci è voluta una giornata intera per avvicinare la tartaruga. Tutta una giornata per farle capire che rispettavo il suo territorio”
Se ci vuole la pazienza di aspettare un intero giorno per un solo scatto, sappi che possono volerci anni per concludere un solo progetto fotografico.
Per realizzare Genesi, Salgado ha impiegato ben dieci anni (dal 2003 al 2013).
Questo progetto ha rappresentato, in qualche modo, anche la sua rinascita umana e professionale. Dopo la lunga crisi in seguito alla realizzazione progetto in Ruanda, in cui testimoniò l’infinita sofferenza del popolo Africano, Salgado ha ripreso a fotografare concentrando la sua ricerca sulla bellezza commovente del nostro pianeta. A questo proposito ha detto:
“Fino ad allora, l’unico animale che avevo fotografato era stato l’uomo: era arrivato il momento di immortalare tutti gli altri animali. Volevo fotografare panorami ma anche lo stesso uomo in ciò che era all’origine, cioè immerso nella natura”
Anche questo reportage, questo canto d’amore nei confronti di Madre Natura, può essere in realtà letto come una denuncia e un monito.È come se attraverso queste bellissime e struggenti immagini, Salgado voglia dirci: guardate, c’è ancora tanta bellezza al mondo. Le sorti del Pianeta non sono segnate, prendiamocene cura, non distruggiamolo!
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QUALE LEZIONE POSSIAMO TRARRE DA TUTTO CIÒ? DIREI PIÙ DI UNA.
Innanzitutto, quando abbiamo un’idea importante, profondamente radicata in noi e in cui crediamo, dobbiamo avere l’umiltà di metterci al suo servizio senza fretta, lasciando che il tempo contribuisca a darle forma. Questo genere di rispetto per l’idea fotografica ma anche per i soggetti fotografati, è sempre stato un elemento fondamentale per Salgado, che ha sempre reso ciascun soggetto il vero protagonista dell’immagine, preservandone la dignità profonda e, al contempo, il pathos.
Le foto di Salgado sono talmente umane, da riuscire a trasmettere umanità a tutto il creato. Ma in lui vi è anche la consapevolezza che non sempre nello spazio dell’immagine è possibile catturare l’immensità della visione che si ha di fronte.
Altra lezione, dunque: è importante avere grande lucidità e consapevolezza che i limiti naturali delle cose non le sminuiscono, ma consentono di utilizzarle al meglio, sondandone tutte le potenzialità.
Questo vale anche per la fotografia: la fotografia non sostituisce la realtà e spesso al suo cospetto è deludente, ma sotto certi aspetti, la fotografia può ricreare la realtà secondo le sue regole peculiari, rendendola in più assoluta ed eterna.
“Un fotografo è letteralmente qualcuno che disegna con la luce. Un uomo che descrive e ridisegna il mondo con luci e ombre.”
Se saprai questo, se sarai capace di fare tua questa consapevolezza, sarai sulla buona strada per esplorare fino in fondo questo mezzo espressivo straordinario.
APPENDICE. QUALCHE ALTRO SPUNTO DI RIFLESSIONE
Naturalmente non è possibile esaurire l’immensa ricchezza dell’insegnamento di un fotografo del calibro di Sebastião Salgado all’interno di una solo articolo.
Ma ci sono alcuni dettagli che vorrei condividere ancora con te e che potrebbero esserti utili come spunto di riflessione ulteriore. Per esempio, ci sono fotografi che per tutta la vita hanno usato una sola macchina fotografica, facendola diventare una sorta di compagna fedele o una specie feticcio.
Non è il caso di Sebastião Salgado, il quale ha cominciato scattando in maniera tradizionale, con una fotocamera Leica 35 mm con pellicola in bianco e nero, per poi approdare a una Pentax 645, con pellicola di medio formato, che gli consentiva di ottenere stampe più grandi.
Quando ha cominciato a lavorare al progetto Genesi ha però optato per una più pratica Canon 1Ds Mark III, da 21 megapixel, dal momento che il digitale gli consentiva di viaggiare per il mondo senza dover portare con sé ben 30 Kg (conti alla mano) di pellicola fotografica. Anche da questo possiamo trarre un’utile lezione: non è la macchina che fa il fotografo (semmai, il contrario).
Quando abbiamo in mente cosa vogliamo fare e lo vediamo con chiarezza, possiamo ricorrere ai mezzi più adatti per ottenerlo. Semplicemente.
Infine, voglio lasciarti consigliandoti vivamente di cercare e guardare il documentario che Sebastião Salgado ha realizzato assieme a Wim Wenders, dal titolo Il Sale della terra.
Il film, candidato al premio Oscar 2015, è un compendio sulla vita e sull’opera del grande fotografo e ti sarà utile ad addentrarti nella sua immensità umana, nella sua maestria, nella sua sublime arte. Se l’articolo ti è piaciuto. Condividilo. Ti ringrazio!